venerdì 28 agosto 2009

Riparte l'Italia o partono gli italiani...?

Il nostro paese si trova sempre più in una condizione di declino economico (e non solo…): basti osservare la serie storica del PIL (siamo tornati ai valori del 2001) o della nostra quota nel commercio internazionale degli ultimi 10 anni, per avere conferma di questo processo di rapida discesa dall’Olimpo delle economie mondiali. Che ce ne dicano i media (basta guardare i dati Istat e confrontarli con altri paesi OCSE), e crisi a parte, questo è un processo che ci ha colpiti già da tempo, in buona parte per quei problemi strutturali del nostro paese, che ci portiamo dietro da sempre (insomma cambiano gli attori ma non il copione). Facendo una breve analisi storica della nostra economia, emerge un paese che nel Dopoguerra ha saputo risollevarsi da una diffusa condizione di arretratezza, che decide di puntare su una mercato mondiale sempre più segmentato, differenziando la propria produzione e specializzandosi sulla produzione di beni di consumo finali. E’ questa l’economia dei distretti, che negli anni ’80 portò celebri studiosi americani (come Porter) a studiarci più da vicino per cercare di capirne i segreti. E’ sorprendente ma il nostro modello aveva raggiunto ottimi risultati, riuscendo addirittura a mettere in crisi quello delle grandi multinazionali statunitensi. E così acquisimmo sui mercati esteri posizioni di vantaggio nel settore della moda, dei prodotti della casa e per uso personale, degli alimenti, con una spiccata dote per tutto ciò che andava oltre le righe, che emergeva dal tayloristico modello del tutto uniforme, standardizzato, garantendo quel di più di qualità e design, che ha affermato nel mondo il Made in Italy.

Se ci chiedessimo quali sono state le condizione per la fioritura di questo nostro vantaggio comparativo, possiamo provare a fare delle ipotesi, così non possiamo non includere un modello in cui l’imprenditorialità diffusa (il tessuto delle Piccole-Medie-Imprese che rappresentano i vari distretti) ha creato (almeno in quei settori specifici) un ambiente stimolato da una forte competitività (selezionando così una serie di soggetti che garantivano qualità e flessibilità), una marcata spinta al rinnovamento e dove le giuste competenze erano diciamo a “portata di distretto”. Ma non dimenticherei il ruolo di una domanda interna molto sofisticata, che per essere soddisfatta ha modellato le nostre imprese, preparandole così a quella che sarebbe stata in futuro una determinante essenziale di un segmento molto remunerativo della domanda mondiale (quello dei prodotti personalizzati e di alta qualità). Tutto questo combinato al fatto di essere un paese storicamente trasformatore per la mancanza di materie prime, un paese che nel Rinascimento ha fatto dei propri artigiani (come dei commercianti veneziani e genovesi) e quindi del “saper fare” la propria ricchezza, ci ha permesso così di preparare l’ambiente culturale adatto per l’economia dei distretti.

Certo, non dimentichiamo però anche i vantaggi immediati della continua svalutazione della lira italiana, gli alti deficit di bilancio che hanno gonfiato il debito pubblico, il peso dell’evasione fiscale di piccoli (e grandi) imprenditori (spesso tollerata come rimedio alla disoccupazione) ed il ruolo attivo che ha avuto lo stato nell’economia. Ma ora tutto questo non è più sostenibile, in parte perché siamo nell’Unione Europea, ed in parte perché non possiamo andare avanti continuando ad aumentare il debito pubblico.

Alcuni cambiamenti, seppur dolorosi sono obbligatori: così quelle aziende posizionate in segmenti di mercato “sbagliati” (basti pensare a gran parte del tessile) dovranno chiudere, in quanto non potranno mai reggere i prezzi (ed i costi!) della competizione dell’Est Europa, della Cina o del Vietnam. Queste sono in gran parte quelle aziende che hanno beneficiato del connubio svalutazione della lira ed evasione-elusione fiscale, che non hanno saputo riconvertire le proprie aziende, rimanendo così a fare la parte dei “cinesi d’Europa”. Le condizioni macroeconomiche non sembrano poi concedere scuse alcune (basti pensare al repentino apprezzamento dell’Euro sul Dollaro degli ultimi anni), quindi non potremo che assistere alla continua uscita dei player inefficienti da un lato e l’emergere, dall’altro, di alcune realtà che sapranno sempre meglio presentarsi come leader nel proprio distretto, riuscendo ad ottenere buoni risultati nei mercati internazionali (Tod’s, Geox, Luxottica, Technogym, etc…).

Quello che stiamo vivendo è un momento di grandi cambiamenti esterni, innescati dalla fine della grande divisione fra paesi comunisti e “democrazie occidentali”. Dall’emergere di nuove potenze politico-economiche (Cina, India, Russia, Brasile, Indonesia) a quello di nuovi ed agguerriti player in ogni mercato, dovendo poi fronteggiare poi imprevedibili fonti di instabilità (sempre nuove minacce di terrorismo, guerre e catastrofi naturali). Questo è sempre più un mondo globalizzato, dove le nostre aziende dovranno fronteggiare una situazione in cui fare business risulta essere sempre più rischioso, in cui vince chi meglio riesce ad anticipare un mondo che è in continua e rapida evoluzione. E in questo quadro ci domandiamo che cosa possono fare (spesso “non fare”) chi ci governa, i nostri rappresentanti politici, chi decide la nostra politica economica, la nostra capacità di essere competitivi.

Siamo un paese che ha un urgente bisogno di cambiamenti reali, di “sintonizzarsi” con le nuove frequenze del Terzo Millennio, necessitiamo di quelle riforme che potranno far ripartire un paese fermo, incagliato e con sempre meno energie. Mi riferisco a quella mancanza di dinamicità interna, dovuta alla contrapposizione fra chi ha una rendita, una posizione di privilegio (non certo acquisita con merito) e chi deve scegliere fra sfruttamento o emigrazione. Ecco che la mia ricetta si scandisce in quattro punti principali (in ordine di difficoltà?): maggiore competizione, un sistema giudiziario rapido ed efficiente, aprirci al mondo dell’innovazione e far ripartire l’economia del Mezzogiorno.

Per maggiore competizione dico che dovrebbe finire in Italia il partito delle rendite, dovremmo andare contro certi interessi di parte, per aprire il paese a nuove e giovani idee, italiane o straniere che siano. Dovremmo rendere il nostro sistema giuridico meno cavilloso, più aperto, permettendo a nuovi soggetti di entrare nella scena competitiva, togliere di mezzo le infondate paure e l’interesse nazionale (basti ricordare le vicende Alitalia o Telecom Italia), permettendoci di avvicinarci di più a questo nuovo mondo dinamico. Dovremmo avere un sistema maggiormente meritocratico, che non verta su diritti dinastici (farmacisti o notai ne sono un esempio) o sulle solite conoscenze, per evitare lo spreco delle nostre menti (e idee) migliori.

Un sistema giudiziario rapido ed efficiente, è quello che permette alla vita media di un procedimento giudiziario, di avere tempi normali (qualche mese, un anno, due massimo), per evitare che a chi abbia subito un torto debba aggiungersene subito un secondo.
Per avvicinarci al mondo dell’innovazione, per aumentare il livello del capitale umano, delle conoscenze, per permettere al nostro paese di aumentare la produttività del fattore lavoro, basterebbe, almeno nel breve termine, limitarsi ad importare l’innovazione, le conoscenze che già esistono, per applicarle efficacemente al nostro sistema produttivo. Per poi cercare di ottenere risultati nel medio-lungo termine, occorrerebbe investire nel capitale umano, in un sistema scolastico maggiormente meritocratico, evitando magari di trasformare le università in grandi licei (utile sarebbe mettere test all’entrata obbligatori per ogni facoltà, che non si basino sul “numero chiuso”, ma su un livello minimo di conoscenza necessario). Per cercare di produrre ricerca, dovremmo incentivare le università con premi a denaro a seconda delle pubblicazioni raggiunte in quell’anno, spingendo queste ad incentivare a sua volta chi vi lavora seriamente ed avere il coraggio di “lasciare a casa” chi non si impegna adeguatamente a fare ricerca(cambiando anche i relativi riferimenti normativi). Altro punto interessante potrebbe quello di avvicinare maggiormente pubblico e privato, università ed imprese, magari creando dei consorzi in cui partecipino capitali privati e “cervelli” pubblici, consentendo così un maggiore controllo di questi ultimi.

Ma la sfida che sembra essere più difficile è quella di far ripartire l’economia del Mezzogiorno, che richiede necessariamente condizioni base il raggiungimento dei prime tre punti discussi sopra. Storicamente uno dei più grandi errori nei confronti del Mezzogiorno è stato quello di averci dei pianificatori al governo, che assegnando questi o quei contributi, non facevano altro che distorcere l’economia locale. Così facendo si è creato un vero e proprio indotto di professionalità e burocrati che si adoperano per l’ottenimento del contributo (ma non dimentichiamo il peso della “mazzetta”), senza peraltro risolvere i problemi del Sud, limitandosi solo ad aumentare le fila dei soggetti dipendenti dai “soldi di Roma”. L’Italia (e l’Europa) dovrebbe mettere la parola fine a questa radicata distorsione, cercando piuttosto di aiutare il Meridione a prendersi maggiormente cura di sé, garantendo sì le infrastrutture necessarie (finire la Salerno-Reggio Calabria, dare dignità alle ferrovie del Mezzogiorno), ma lasciando alla libera iniziativa dei soggetti economici locali la forza del cambiamento, creando magari una “no tax area” (con aliquote fiscali nulle o ridottissime) su vasca scala. Tutto questo però non porterà mai a risultati sufficienti se non ci sarà la volontà di reagire alle numerose mafie locali, vero cancro del Mezzogiorno e sempre più pronte ad inghiottire settori “sani” dell’economia anche in altre zone d’Italia. Si tratta di un obiettivo senz’altro difficile, ma non impossibile, da combattersi soprattutto sul lato economico (basti pensare a come vengono gestiti gli appalti nel Sud italia), con la consapevolezza che anche decisioni forti e poco popolari (liberalizzazione delle droghe e della prostituzione?) potrebbero indebolire queste organizzazioni criminali.
Anche alla luce della recente crisi finanziaria, che solo apparentemente avrebbe risparmiato il nostro paese (se è vero che “l’arretratezza” del nostro sistema finanziario ha permesso alle nostre banche di cavarsela meglio di quelle inglesi e statunitensi, le nostre imprese hanno gravi problemi e rischiano seriamente di chiudere), ci accorgiamo di essere ad un importante giro di boa: cambiare mentalità e tornare ad essere competitivi, o sprofondare nel limbo in compagnia di quei paesi un tempo ricchi (come l’Argentina della Belle Epoque di fine ‘800).

4 commenti:

  1. Ok, tutto giusto, sono d'accordo con te. Hai individuato una serie di problematiche, e come te molti altri analizzano e si lamentano delle arretratezze del paese. Ma queste sono solo gli effetti, non la causa. Ti sei mai chiesto qual'è la vera causa di questa situazione? Io ho una mia idea. Ti invito a dare un'occhiata al mio blog:www.orgogliocivile.blogspot.com , specialmente gli ultimi post. Mi piacerebbe avere un tuo parere.

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  2. La "decadenza" non è completamente inevitabile, ma è legata strettamente ad un "cambiamento di mentalità" come ben individuato da Manuel di cui per ora non si vede traccia...anzi. Intanto abbiamo già perso sul terreno delle conoscenza a causa di un sistema scolastico ed universitario inadeguato e per recuperare qui servono anni: un sistema scolastico efficiente che partisse da oggi darebbe i suoi frutti solo tra più di venti anni..quale politico (ma soprattutto italico elettore) vi investirebbe mai ?
    Questo insieme all'enorme debito pubblico mi fa essere pessimista sulla capacità di recupero dell'Italia..purtoppo chi ha prodotto quel debito pubblico negli anni Ottanta ha ipotecato il futuro dell'Italia forse in modo definitivo!
    Poi se come credo ogni popolo ha il Governo che si merita...

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  3. Nell'annuale classifica del World Economic Forum sulla competitività ci siamo piazzati al 48-esimo posto, migliorando di solo una posizione rispetto all'anno scorso...
    Il terzo debito più grande al mondo e abbiamo ormai perso il treno dei paesi dinamici...Questo governo sembra avere i numeri per fare delle reali riforme, ma mi sembra manchi la volontà di fare gli interessi del paese, anche se i problemi sono e rimangono strutturali, e di vecchia data.

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  4. Cari cervelloni, vedo con piacere che alla fine siete riusciti a fondare se pur in un algida versione mini e virtuale , quel tanto agognato cenacolo di pensiero di cui parlavate . Caro Marcello ,la mentalità degli italiani ( a meno che non la si voglia chiamare esplicitamente furbizia , nel qual caso mi troveresti d’accordo ) , conta fino a un certo punto , certo si dirà , a giudicare dal consenso che hanno certi giornali e certi programmi televisivi ,non ci si può aspettare molto di più. Ciò nonostante credo che il popolo sovrano sia molto meglio dei loro governanti che godono di un inevitabile “asimmetria informativa “ e che in quanto tali, avrebbero dovuto agire responsabilmente nell’interesse generale , fare scelte impopolari per non essere antipopolari nel lungo periodo . Gli italiani nel corso della storia hanno dato segnali forti con i referendum ad esempio , l’unico vero “cavallo di Troia” a disposizione dei cittadini . Basti pensare al maggioritario e a molti altri stravinti e con cui la casta (quando non la corte costituzionale), ci si è quasi sempre pulita il di dietro . Il vero cancro dell’Italia sono i partiti , i politici di professione le lobby parlamentari . L’Italia è strangolata da 30 anni da un pericoloso equilibrio di rapporti di forze , il principale dei quali è stato il mix mortale di proporzionale e spesa pubblica improduttiva che ha fatto il debito , legame ormai scientificamente provato dagli studi di “public choice “. Dal 2005 anche una semplice riforma del sistema elettorale con un proporzionale alla tedesca con sbarramento al 7% avrebbe permesso di risparmiare in qualche anno 7 punti di P.I.L circa 100 miliardi. Poi tutte le cose che conosciamo : corporazioni , rigidità del mercato del lavoro , concertazione , giustizia, evasione, centralismo amministrativo . Per capire che paese è l’Italia : ora sull’orlo del baratro con il governo Monti si stanno facendo le riforme che avrebbero dovuto esser fatte 30 anni fa e che se fatte anche 10 anni fa, avrebbero evitato il nostro ingresso nel poco lusinghiero club delle pecore nere d’Europa , cosa che l’Italia oggettivamente non merita e che non rispecchia le reali condizioni e potenzialità del paese . Vi consiglio alcuni libri divulgativi di Franco Reviglio un professore ex ministro che mi sono stati molto utili e che potrebbero arricchire la Vostra “Consapevolezza” : “La spesa pubblica , conoscerla e riformarla “ Marsilio editore ; “ Good Bye keynes “ Guerrini e associati editore . Un saluto a tutti e un abbraccio a Marcellino , un altro maledetto toscano :). Ci vediamo su facebook , forse , quando mi deciderò a iscrivermi , non mi piace avere la CIA alle calcagna …. Speriamo che la prossima volta si possa parlare davanti a un bicchiere di Morellino invece che davanti a uno schermo . IL CESCO .

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